“Qui non sopravvive”. Abigail, per tutti “Abi”, sente quelle parole mentre è distesa su un letto dell’ospedale Dr. Luis Ortega di Porlamar, Venezuela, con la gamba viola vinaccia pulsante di dolore. “Sapevo che era vero, e avevo paura”, dice Abigail con la voce più bassa, mesi dopo, seduta su un altro letto, quello del CTO di Torino. Specchio dei tempi, insieme ai medici piemontesi e ai lettori de La Stampa, si sta prendendo cura di lei.
La storia di Abi è drammatica. Tutto inizia la sera del 2 settembre 2017. Abigail stava cenando con la sua famiglia. Si alza, sale al piano di sopra. Scende il primo gradino, il tallone perde l’equilibrio, la gamba cede: “Ho sentito una fitta lancinante e un crack”. Arriva in pronto soccorso, non riesce a muovere la gamba che è scomposta a causa della frattura. Parte da qui il lunghissimo percorso che la costringerà a stare ferma in un letto di ospedale per mesi.
“In Venezuela se vuoi operarti devi pagare tutto tu, di per sé la sanità è pubblica ma non hanno fondi per realizzare gli interventi. Per noi trovare i soldi è stato un problema” spiega. Il 31 ottobre compie 17 anni in ospedale e le viene diagnosticato un tumore osseo grave. Il medico dice che la gamba è da amputare. Abigail mostra le foto della sua gamba, “qua l’avevano perforata per allungare l’osso. Ma non è servito a molto. I medici evitavano il mio caso perché troppo difficile, non sapevano come trattarlo. Mia mamma ha dovuto rimettermi a posto la gamba dopo la frattura, mentre io tenevo un panno bagnato stretto tra i denti”, spiega Abigail. Dopo mesi di cure sbagliate, alla fine, grazie ad un innesto osseo si riesce ad asportare il tumore e a salvare la gamba.
Passano quattro anni. Abigail riprende a piccoli passi la sua vita, si sposa, comincia a studiare medicina, ma è una parentesi temporanea perché l’innesto si infetta, è grave. L’operazione non è stata fatta bene. Abigail torna in ospedale, torna il dolore, le pillole, il bianco asettico delle corsie.
“Non me lo dissero subito, ma la gamba peggiorava. Poi l’ho saputo: non sarei sopravvissuta all’infezione, almeno non lì. E io non avevo più la forza per vivere”. È l’arrivo di Beatrice a sparigliare le carte, è venezuelana, vive a Napoli, è come una zia per Abigail, “la conosco da sempre. Appena mi vede si mobilita, chiama, cerca, insomma alla fine trova un’associazione che è disposta ad aiutarmi, che mi paga il viaggio e l’accoglienza”, racconta Abigail. Poi tira fuori dalla sua borsetta rossa il biglietto aereo con data 22 aprile, “con questo sono arrivata in Italia”, sorride.
Si attiva una rete solidale. Abigail arriva a Napoli, ma è una tappa breve perché i medici del CTO la stanno già aspettando a Torino. Il testimone passa a Specchio dei tempi: la fondazione, insieme ai lettori, sosterrà Abigail e finanzierà le spese mediche. “Ho superato la prima operazione, ora aspetto la seconda sempre qui al CTO”. Abigail saluta i donatori di Specchio con un grande grazie. Un grazie che le riempie le labbra e invade tutto il resto: la sentenza di morte sembra ormai lontana e il cammino verso una nuova vita forse è cominciato.