Francesco, il nonno che deve tenere i termosifoni spenti

Lanza Raffaella
La Stampa, 29/11/21

«Il mio mondo ormai è tutto qui». Francesco indica la sua stanzetta, dove dalla poltrona si sposta a fatica nel letto. C’è una stufetta elettrica che scalda l’ambiente: «Sembra che dentro arda un pezzo di legno vero». I termosifoni si accendono solo per qualche ora al giorno: «Con la pensione minima cerco di risparmiare il più possibile». C’è la televisione: «Che guardo poco— dice Francesco -. Mi piacciono solo i documentari. E poi Jerry Scotti. Nei telegiornali invece ci sono solo brutte notizie».

Francesco, 74 anni, ha appena ricevuto la Tredicesima dell’Amicizia di Specchio dei tempi. L’assegno da 500 euro che la fondazione offre ogni Natale a 2000 anziani poveri e soli. Come Francesco, che vive in compagnia dei suoi acciacchi: «Nella vita mi è capitato di tutto: ho avuto un infarto, poi mi hanno messo tre bypass, due anni fa c’è stato un piccolo ictus e un intervento all’anca non riuscito. E ora faccio i conti con una polineuropatia alla gambe. Il dottore me l’ha già detto: peggiorerà sempre più. Sono già invalido al 100%». Malattie che però non spengono il sorriso sulle sue labbra. Francesco si sente vercellese, anche se lui è nato a Palermo: «Mio papà non mi ha mai detto ti voglio bene e non mi ha mai abbracciato. Mia mamma, idem».

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«Avevo un fratello gemello, Gaspare, che è morto l’anno scorso per il Covid. Poi altri quattro fratelli e una sorella: ora siam rimasti vivi in due». Francesco ricorda il nonno: «Che mi dava sempre 5 lire per comperare le caramelle». A Vercelli è arrivato quando aveva 16 anni: «E da qui non mi sono più spostato. Mio papà, che era imbianchino, era venuto su al Nord per lavorare nel cantiere dell’ospedale Sant’Andrea. Io ho iniziato a fare dei lavoretti: in argenteria, poi come manovale, alla fine ho fatto il fabbro. L’infarto però mi ha fatto perdere il lavoro. Ho sempre faticato nella mia vita».

A Vercelli Francesco si fatto una famiglia: è padre di tre figli. «Quando i miei genitori son tornati giù a Palermo, io son rimasto qui da solo e sono stato ospite dai marianisti, da fratel Placido, da padre Alberto. E poi, come volontario, mi sono avvicinato al Centro Volontari della Sofferenza. Agli esercizi spirituali di Re ho conosciuto mia moglie: quanto le volevo bene. Un tumore se l’è portata via, quasi 25 anni fa. L’ho assistita fino all’ultimo. Nella mia vita ho sempre fatto del bene: ora son gli altri che aiutano me. I miei figli mi sono vicini».

Francesco è stato inserito nel progetto «Forza Nonni» di Specchio dei tempi, che garantisce assistenza tutto l’anno: «Mi aiutano tanto. Quando mi consegnano la busta della spesa, c’è dentro ogni ben di Dio». Francesco sta seduto in poltrona: «Prima riuscivo a cucinare, ora invece le politiche sociali mi portano il pranzo. Mi manca non poter uscire di casa. Una volta con la motoretta da disabile andavo fin in viale Garibaldi. Mi ero fatto costruire uno scivolo per scendere dal marciapiede: mi era costato 50 euro. Dopo qualche mese me l’hanno rubato. Addio passeggiate. E mi manca anche la mia Sicilia: ogni tanto vado su Google Maps per vedere la strada dove sono nato. Oh che magone».

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Il calvario di Ilda, 88 anni tra fame e lutti

Raffaella Lanza,
La Stampa, 21/11/21

«La mia vita è stata un calvario». Ilda ripete spesso questa frase mentre snocciola la sua esistenza «fatta di fame e di lutti». Ilda ha compiuto 88 anni: invalida al cento per cento, convive con gli acciacchi della vecchiaia. «Dovrei operarmi di cataratta, ho il diabete e tanti altri problemi di salute» racconta. Per muoversi deve usare un deambulatore: l’anno scorso si è rotta il femore. Oggi vive in una casa dell’Atc. «Prima ero in un’abitazione privata, in centro, ma purtroppo c’erano umidità e topi. Giravano per casa, mi hanno anche morsicata. Oggi sono qui in queste due stanze, pulite e calde, e per questo devo dire grazie al Comune, ma mi sento in gabbia. Mi vien la depressione: mi passa la voglia di vivere». Dal suo appartamento per arrivare fino alla strada c’è una lunga discesa e alcuni scalini: un impedimento che non permette a Ilda, che fatica a camminare, di potersi muovere in libertà.

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Ilda, originaria della Calabria, a Vercelli vive ormai da cinquant’anni: «Ma prima ho viaggiato – ricorda -. E me lo sogno ancora di notte. Sono stata anche all’estero: in Inghilterra, con mia sorella, dove ho lavorato in una fabbrica vicino a Londra. Ho fatto la quinta elementare: giù al Sud non c’era lavoro, quindi ho preso coraggio e mi sono spostata». Ilda è poi andata a Trivero, sempre per lavoro, in una filatura e lì ha conosciuto il marito, muratore. «Ci siamo spostati in altri posti, poi siamo arrivati a Vercelli. Oggi sono vedova: ho perso anche un figlio, che è morto a 35 anni. Un dolore grande: quando perdi un figlio perdi un pezzo di cuore». Ha altri due figli: «Uno mi viene a trovare, l’altra invece è in Calabria. Son nonna di due nipoti. In famiglia eravamo in dodici, tra fratelli e sorelle: oggi siam rimasti in due. Meno male che c’è il telefono, così posso chiamare mia sorella, che vive a Torino. In questo modo la solitudine fa meno male».

Le foto di quando lei era ragazza sono appese in cucina, dove c’è anche un grande quadro del figlio defunto: «Piango ogni giorno per lui». La cucina è ordinata: «I mobili me li hanno regalati. Sono contenta quando qualcuno viene a trovarmi. Viene anche una dottoressa, che mi segue: è così gentile». Ilda, avvolta in una sciarpa perché la cervicale non le dà tregua, quando racconta che da ragazza andava a ballare, si illuminano gli occhi e la bocca disegna un grande sorriso: «Ho ancora tutti i vestiti: li conservo con cura», sottolinea lei.

E non smette di sorridere anche quando parla di Specchio dei tempi che le ha donato la Tredicesima dell’Amicizia, l’assegno che viene offerto a 2000 anziani fragili ogni Natale. Specchio l’ha pure inserita nel progetto «Forza Nonni!». Spiega: «Mi portano la spesa due volte al mese, viene una signora ogni settimana a farmi le pulizie. E poi mi telefonano i volontari: è bello parlare con loro. L’altro giorno una di loro mi ha detto “ti voglio bene”. E anche che sono proprio una signora gentile. Questo mi ha davvero scaldato il cuore. Sì, sono proprio bravi: mi aiutano tanto». Ilda, che percepisce una pensione minima, dice con orgoglio: «Pago tutte le bollette. Prima andavo io stessa in posta. Oggi invece, non riesco più. Faccio tanta fatica ad uscir di casa. Oggi avrei mangiato volentieri qualche acino d’uva, e invece… per le commissioni devo dipendere dagli altri. E’ proprio brutto diventare vecchi».

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Mario, il nonno di Vercelli che ha perso tutto

Beppe Minello
La Stampa Vercelli 25 luglio

La vita è crudele. Per Mario Franzoso lo è un po’ di più. Ad agosto compirà 77 anni ma – dice – vorrei morire”. Nella sua voce non c’è ira e, paradossalmente, nemmeno disperazione ma solo rassegnazione.

Il signor Franzoso, nato ad Adria ma a Vercelli da quando aveva sei mesi, ha avuto una vita piena, anche di soddisfazioni. Manager della Ford quando Vercelli era il cuore della distribuzione dei veicoli statunitensi in tutta Italia e, prima e dopo, rappresentante, ha condiviso la sua vita, fino a tre anni fa, con la moglie Tina, una donna bella il cui volto e la snella silhouette riempiono l’alloggetto al piano terra di via San Cristoforo. Insieme hanno avuto un figlio, Davide, che oggi avrebbe 44 anni. Avrebbe, perché, pure lui, è morto un anno fa: “Un mattino non si è più svegliato” ricorda, svuotato, Mario. Una tragedia che ha chiuso, si fa per dire, il cerchio del periodo più brutto della sua esistenza, iniziato sedici anni fa quando si è ammalato di tumore al colon che l’ha spedito “tre mesi in rianimazione e altri sei in ospedale con  12 cicli di chemioterapia”.

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Potrebbe bastare, direte, per un uomo. E no, perché, uscito dall’ospedale, è stata l’amata Tina ad ammalarsi di leucemia. Mario Franzoso ha fatto di tutto per salvarla: “L’abbiamo curata con cocktail di medicinali che arrivavano dalla Svizzera”. “Un bagno di sangue”, dal punto di vista economico, per la famiglia Franzoso. “Quando mi sono ammalato decisi di andare anticipatamente in pensione – ricorda Mario – e quindi, da allora, sopravvivo con 630 euro al mese”. Per stare dietro alle spese per le cure della moglie, se n’è andata presto anche la casa dove viveva la famiglia Franzoso. “C’era anche un albicocco che ci dava 4-5 quintali di frutti ogni anno” ricorda sognante.

Mario rifarebbe tutto quello che ha fatto, soprattutto perché ha avuto per una dozzina d’anni l’illusione di aver sconfitto il male. Invece, tre anni fa Tina s’è spenta e, un anno dopo, anche il figlio Davide è scomparso: “Era un grande chitarrista…” lo ricorda con orgoglio.

Da allora, la vita di Mario è diventata un calvario. Metà della pensione se ne va per pagare l’affitto dell’alloggetto che ha un’unica stanza da letto, inutilizzabile perché piena di muffa. “Tanto non riesco quasi a camminare – dice – e così devo solo spostarmi dal divano al tavolo al fornello e viceversa… Ha un pregio: non devo salire scale anche se, negli ultimi due anni, per la verità, sono uscito di casa solo un paio di volte. Ho chiesto al Comune se possono aiutarmi a trovare un alloggetto più economico e meno malsano: mai avuto risposta”.

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Mario Franzoso è stato “adottato” da Specchio dei tempi che l’ha inserito nel progetto “Forza Nonni!”. C’è, quindi, ora, chi lo segue telefonicamente, c’è qualcuno che va a pulirgli la casa, un paio di volte al mese riceve un pacco alimentare che, però, confessa imbarazzato, “non posso consumare”. L’ultima disgrazia di quest’uomo dignitoso che ti riceve vestito con una tuta che ha visto tempi migliori ma la riga tra i capelli canuti è perfetta, sono i denti: “Dovrei mettere la dentiera dice imbarazzato ma l’intervento e l’apparecchio mi costano 2.500 euro che non ho la più pallida idea di dove trovare”.

Franzoso, il cui unico aiuto e conforto lo riceve da un amico del figlio che lo va spesso a trovare non è seguito da nessun servizio sociale. Persino il medico di base l’ha “dimenticato”: dovrebbe fare il vaccino Covid ma nessuno l’ha contattato. Mario Franzoso, con tutti i guai che ha, alza le spalle ma è amareggiato: “L’ultima volta che ho visto il medico è stato quando ha fatto ricoverare mia moglie… tre giorni prima che morisse”.

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