Giuseppina sta per compiere 67 anni. La vita, la salute cagionevole l’hanno segnata profondamente. Ma non sono riusciti a spegnerle due occhi chiari, luminosi. Il disegno delle labbra ancora piene, spicca sul volto rugoso. La fotografia appoggiata sul frigorifero dell’alloggetto popolare delle Vallette, restituisce l’immagine di una Giuseppina ancora splendida nei suoi trent’anni.
«Ho due figli ormai cinquantenni che sento poco e poco si fanno sentire, ma che per fortuna lavorano» racconta la donna che ancora non si capacita dei 500 euro della Tredicesima dell’Amicizia di Specchio dei tempi che stringe, emozionata, fra le dita. Una somma che per lei, che vive con il reddito d’inclusione e con una piccola pensione d’invalidità, è «enorme» dice.
Sa già che parte di quei soldi, frutto della generosità dei lettori de La Stampa e dei tanti amici di Specchio, allevieranno il peso delle bollette e dei costi del riscaldamento. «Ma forse è la volta buona che mi prendo un divanetto vero» sussurra voltando lo sguardo verso la brandina sbilenca appoggiata al muro della cucina. Nonna Giuseppina sembra vergognarsi un po’ di quel desiderio superfluo per chi, come lei, arriva a stento a fine mese.
Pugliese di Stornarello, in provincia di Foggia, è arrivata a Torino da sola, quando aveva 15 anni. Senza papà dall’età di 7 anni, non sopportava di essere mal sopportata dalla sorella più anziana alla quale era stata affidata dalla mamma, pure lei morta appena cinquantenne.
«Avevo tre fratelli e il più grande viveva a Torino. Ho vissuto un po’ con lui e la moglie con la quale ho iniziato a litigare subito» ricorda Giuseppina che non è mai stata con le mani in mano: «Mi alzavo alle 4 per andare a lavorare in un pastificio industriale. Pulivo pentoloni enormi. Da allora non ho più mangiato pasta ripiena» sorride, divertita, di quella piccola malignità.
È ventenne quando conosce il marito. «Era ludopatico con moderazione – ricorda nonna Giuseppina – e vivevamo abbastanza bene. Finché ha fatto la scommessa peggiore della sua vita. Ha investito tutti i soldi che aveva racimolato nella costruzione di una casa in Puglia. É andata male e da quella avventura siamo usciti più poveri di prima».
La famiglia ha così ripreso il “treno della speranza” verso Torino. «Mio marito ha iniziato a star male e qualcuno doveva lavorare. Ho fatto per anni la donna delle pulizie. Lui è mancato e io, pochi anni fa, ho avuto una crisi epilettica dalla quale non mi sono mai ripresa completamente. Ho l’80 per cento d’invalidità e, con la cataratta a entrambi gli occhi, quasi non vedo più. Tremo all’idea di dover entrare in un ospedale. Però oggi, grazie a voi sono felice. Mi raccomando, ringrazi tutti quelli che mi stanno aiutando.»