Specchio dei tempi “Aiutiamoli”, così la voce dei lettori si trasforma in intervento...
17 Dicembre 2015

“Aiutiamoli”, così la voce dei lettori si trasforma in intervento concreto

Le donazioni alla Fondazione a favore di chi ha bisogno

MARIO CALABRESI

Sabato 17 dicembre 1955 fu un giorno speciale per la storia di questo giornale: a pagina 2, per decisione dell’allora direttore Giulio De Benedetti, nasceva la rubrica «Specchio dei tempi» destinata a diventare una lettura obbligata per generazioni di piemontesi, un appuntamento che è mancato solo per un giorno in sessant’anni. Nella stessa pagina, in basso a sinistra, con un articolo dal titolo «Natale meno triste per due orfani» prendeva forma – ma in modo inconsapevole – quella che sarebbe diventata un’altra grande caratteristica de La Stampa: la solidarietà. Nessuno aveva pensato che «Specchio dei tempi» potesse anche essere una Fondazione con finalità benefiche, la formalizzazione sarebbe arrivata soltanto nel 1982 con un decreto firmato dal presidente Pertini, ma il caso volle che proprio quel giorno si desse notizia delle donazioni di alcuni lettori che erano rimasti colpiti dalla morte di un giovane muratore emigrato da Treviso, Oscar Cadorin, investito in corso Francia mentre andava a una festicciola per inaugurare la nuova casa e una nuova vita. Lasciava la moglie e due bimbi piccoli di 4 anni e 18 mesi.

«Molti lettori, commossi, ci hanno inviato – si leggeva nell’articolo – somme di denaro per la vedova e i figli e qualcuno ha mandato anche giocattoli (abbiamo ricevuto una bicicletta da bambino e un triciclo) che renderanno meno triste e desolato il Natale dei due orfani». Fu la prima sottoscrizione spontanea che, negli anni, avrebbe dato origine a una gara di solidarietà che continua tuttora. Sei anni dopo, quando gli avieri italiani di un contingente di pace vennero trucidati a Kindu nell’ex Congo belga, partì la prima raccolta fondi strutturata. La notizia arrivò in Italia venerdì 17 novembre 1961 e in quel fine settimana decine di lettori scrissero chiedendo che si raccogliessero soldi per aiutare le famiglie dei caduti. Già la domenica in una breve si dava notizia delle prime donazioni, firmate da un alunno di quinta elementare e da «un vecchio pensionato».

Il giornale del 24 raccontava come centinaia di persone affollassero gli uffici de La Stampa di via Roma e il flusso rimase costante fino a Natale, tanto che già il 10 dicembre vennero consegnati 13 milioni alle famiglie dei caduti. Da quel momento le sottoscrizioni sarebbero diventate costanti, ma bisogna sapere che non furono e non sono mai (neanche oggi) decise dal giornale o dalla Fondazione ma vengono aperte solo su sollecitazione dei lettori. È la prima e fondamentale regola: il giornale è uno strumento al servizio della sua comunità. Così ci furono le mobilitazioni per il Vajont nel 1964 e per tutti i terremoti da quello del Belice del 1968 fino a quello d’Abruzzo del 2009 passando per il Friuli e l’Irpinia. In Sicilia nel ’68 cinque giornalisti della Stampa girarono per i paesi distrutti a distribuire soldi in contanti per alleviare la disperazione e coprire le prime necessità di sopravvivenza. Di ogni donazione veniva fatta una ricevuta e poi ogni sera un lungo e puntiglioso elenco con tutte le cifre da spedire a Torino. Ci sono poi state le grandi sottoscrizioni per l’alluvione in Piemonte del 1994 e quella del 2000, fino alle più recenti inondazioni di Genova. Ogni volta con l’orgoglio di essere i primi e i più veloci a ricostruire una scuola, un asilo o un ponte. Ma la solidarietà non si è fermata in questo territorio o ai confini del nostro Paese, molto è stato fatto dopo lo tsunami in Asia del 2004 (in Sri Lanka i lettori della Stampa hanno l’orgoglio di aver donato una flotta di barche a una comunità di pescatori che aveva perso tutto), dopo il terremoto di Haiti del 2010, in Nepal quest’anno o durante la carestia nel Corno d’Africa del 2011. In quest’ultima occasione nel solo mese di agosto venne raccolto quasi un milione di euro, a dimostrazione di una solidarietà che è capace di guardare lontano.

Ma le storie più belle e commoventi sono quelle minime, che incrociano la vita di ogni giorno: all’inizio degli anni Settanta un operaio di Rivoli morì di cancro. La vedova, pochi giorni dopo, partorì due splendidi gemellini, un maschio e una femmina. I lettori si commossero e chiesero di aprire una sottoscrizione che permise a quella sfortunata famiglia di superare il periodo più nero. Quasi trent’anni dopo, nel settembre del 2001, un signore si presentò al giornale e chiese di parlare con la segretaria di «Specchio dei tempi». Stringeva tra le mani una busta, con un po’ di imbarazzo.

«Ecco – ci disse – questo è il primo stipendio di medici mio e di mia sorella. Avevamo promesso a nostra madre, che purtroppo non c’è più, che lo avremmo versato a “Specchio dei tempi”. Non è molto, ma al di là dell’offerta non potremo mai ringraziare abbastanza chi ci ha aiutato». Il direttore della Stampa siede nel consiglio della Fondazione e per me averne fatto parte è un motivo di orgoglio e una delle esperienze più belle di questi ultimi sei anni. Mi ha dato chiara la percezione dell’importanza del rapporto con il territorio e con i suoi lettori. La fiducia dei lettori è il patrimonio più importante e «Specchio dei tempi» rimane sempre fedele ai suoi valori: un euro che entra è un euro che arriva a destinazione. Non ci sono costi di struttura o di personale, gli interventi sono immediati e i progetti eseguiti con efficienza e con la massima rapidità.

Nel consiglio di amministrazione soltanto un terzo dei componenti sono giornalisti, gli altri sono medici, magistrati, persone impegnate nel volontariato, commercialisti. Tutti svolgono questo lavoro gratuitamente. Una società di certificazione di bilancio controlla i conti ogni anno a garanzia che le offerte dei lettori siano state gestite bene. Anche per questo numerosi sono i lasciti o addirittura gli interi testamenti devoluti alla Fondazione ed è grazie a questi che si sono potuti fare interventi importanti per l’ospedale Regina Margherita, per Candiolo, il Cto e il Sant’Anna. E grazie a tutti voi sono stati installati più di 160 defibrillatori nelle scuole di Torino e nei campi sportivi, che hanno già salvato tre vite.

Siamo vicini a Natale e allora voglio chiudere ricordandovi le Tredicesime dell’Amicizia, un’iniziativa pensata nel 1976 per aiutare anziani che vivono soli e in povertà. In quarant’anni sono state distribuite 65mila tredicesime con una raccolta pari a 23 milioni di euro attuali. Ogni anno il numero delle persone aiutate è di circa 2000, ma speriamo di arrivare fino a 2300 o magari a 2500, ma questo miracolo dipende solo da voi!

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