Specchio dei tempi Specchio dei tempi per Haiti: camere operatorie e scuole
31 Gennaio 2012

Specchio dei tempi per Haiti: camere operatorie e scuole

Gli aiuti all’Ospedale Saint Camille di Port Au Prince, gestito dai padri camilliani torinesi, e alla scuola Lakay Mwen, frequentata da 1000 bambini

ANGELO CONTI

PORT AU PRINCE
Specchio dei tempi ha concluso, su mandato dei lettori che hanno versato 766.000 euro, il suo intervento ad Haiti. A due anni dalla tremenda scossa che fece a pezzi il centro storico della capitale, seminando paura ed ulteriore povertà fra gente che aveva già mille problemi per vivere, le due nuove camere operatorie dell’Ospedale Pediatrico Saint Camille (da nove anni gestito dai padri camilliani di Torino) funzionano a pieno regime e lo stesso vale per la scuola Lakay Mwen (tanto cara ad un generoso gruppo di volontari chieresi) che ospita ogni giorno oltre 1000 bambini. Strutture che è stato possibile ricostruire o ristrutturare grazie all’intervento di Specchio dei tempi. Parallelamente i lettori de La Stampa hanno permesso interventi di emergenza prima nelle tendopoli (purtroppo ancora presenti) e poi nel contrasto al dilagare dell’epidemia di colera. Nei prossimi mesi sosterremo ancora, come abbiamo fatto già per due anni, le spese di viaggio dei volontari delle equipe mediche italiane che operano al Saint Camille.
La prima camera operatoria dell’ospedale pediatrico era stata messa in funzione a soli tre mesi dal terremoto del gennaio 2010, la seconda – tecnologicamente più avanzata – ha preso a funzionare prima dello scorso Natale. L’ospedale Saint Camille si trova a circa mezzora d’auto dall’aeroporto e da quel che resta del centro di Port Au Prince, in posizione leggermente periferica, ed ha una capacità di cento posti letti, sempre tutti occupati. I suoi ambulatori aprono la mattina all’alba, quando i piccoli pazienti si presentano al portone principale: qui guardie armate di Kalashnikov fanno da filtro, per evitare l’ingresso di malintenzionati o disturbatori. Nei padiglioni lavorano una quindicina di medici haitiani, molto spesso assistiti da colleghi italiani che scelgono di prestare la loro opera volontariamente, per periodi lunghi o brevi in questo difficile paese. Dove il termine “difficile” è obiettivamente riduttivo stante l’incredibile povertà, l’assenza di un qualsiasi controllo da parte dello Stato, la presenza solo teorica dell’Onu, la violenza dilagante e incontrastata che rende le tante tendopoli e baraccopoli continuo teatro di scontri fra bande con omicidi, ferimenti, stupri, incendi dolosi. Drammi che si aggiungono al dramma di un terremoto che, in tutta la capitale, è come se fosse accaduto ieri, fra rovine mai rimosse e edifici che non saranno mai più ricostruiti. E con la gente che muore in media ben sotto i cinquant’anni…
Operare qui non è facile, nemmeno per organizzazioni collaudate come quella dei padri Camilliani che, oltre all’ospedale di Port Au Prince, gestiscono anche un ambulatorio a Jeremee, un centro sulla costa occidentale, al di là delle montagne, a otto ore di macchina dalla capitale. Padre Massimo, il direttore dell’ospedale di Port Au Prince, si divide fra le due sedi. Racconta che la gente é piena di bisogni ma anche di ancestrali paure. Questo è il regno del wudu, delle regole assurde, dei rituali spaventosi. «Tutto è fatto pensando alla morte – spiega – che è considerata il momento centrale della vita. Ogni disgrazia, come ogni malattia, viene prima affrontato attraverso gli stregoni, solo successivamente e non sempre, si va dal medico od in ospedale». Questo spiega la strage che sta facendo il colera, malattia contrastabile e guaribile se affrontata in tempo, ma sovente mortale se non si mettono presto in atto le terapie. Il wudu ha un alleato nella povertà, che annienta la volontà della gente. Racconta padre Cipriano, un portoghese che segue con commuovente impegno una trentina di bambini handicappati gravi: «Questa è gente che non ha i soldi per comprare un piatto di riso. Così, quando si trova ad affrontare una spesa imprevista, entra nel terrore. L’altro giorno è morta una bambina, di colera. La famiglia non aveva il denaro per seppellirla al cimitero. Per rispetto ai dettami wudu è stata comunque seppellita nei tempi previsti, ma in una discarica di rifiuti. Gli abitanti delle capanne più vicine sono insorti: non volevano quel corpicino a trenta metri da loro, temevano gli spiriti. Uno scontro assurdo e crudele. Siamo intervenuti noi camilliani, spiegando che ci sarebbe stata la riconoscenza delle divinità se avessero accettato quel funerale. S’è raggiunto un accordo: la tomba della bimba è rimasta lì, sotto una coperta di fiori. Il mattino dopo sono arrivati i camion con tonnellate di spazzatura e quella tomba è sparita per sempre».
Specchio dei tempi non si è comunque fermato alle camere operatorie, ai contributi per il reparto di cura del colera (per forza di cose una tensostruttura sistemata appena fuori dall’ospedale, per evitare contagi), a quelli per i primi campi di emergenza quando davanti al Saint Camille si erano accampate molte centinaia di persone ferite, in attesa di cure.
Il secondo grande progetto è stato la ristrutturazione della Scuola Lakay Mwen, gestita dal missionario laico Maurizio Barcaro, frequentata da oltre 1000 bambini e ragazzi fra i 6 ed i 14 anni. Qui abbiamo trovato l’Haiti più positiva, quella della speranza dei giovani, a cui stanno contribuendo anche i due laboratori di avviamento al lavoro (una sartoria per le ragazze ed una falegnameria per i ragazzi), anche questi realizzati con il denaro dei lettori de La Stampa. Barcaro ha sottolineato il particolare legame fra Torino e questi bimbi: «Un quarto di loro, cioè circa 250, sono stati adottati a distanza da famiglie torinesi, soprattutto del Chierese. E talvolta abbiamo ospitato volontari provenienti dal Piemonte. Ecco perchè questi bambini sono un poco torinesi anche loro».
Due camere operatorie per otto-dieci interventi chirurgici al giorno, trenta aule-due laboratori-una biblioteca per dare speranza a mille bambini. E’ l’aiuto forte che i lettori de La Stampa danno ogni giorno anche qua ad Haiti, fra le insidie e le paure di un paese che non sa ancora ritrovarsi né darsi delle regole. Un paese spaventato ed a volte ostile di fronte a quel mondo della politica e della solidarietà istituzionale che ha stanziato miliardi di dollari che nessuno vede, imbrigliati nelle maglie di giochi internazionali troppo lontani da questa spaventosa realtà.

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